L’industria del caffè è qualcosa di molto complesso, veloce, in costante cambiamento e perenne evoluzione. E’ la parte di questo mestiere con cui forse è più difficile stare al passo, ma è la più stimolante al tempo stesso. Spesso si è abituati a pensare all’innovazione come a qualcosa che riguarda la tecnologia e il mondo dei macchinari. Di sicuro negli ultimi 10 anni questa parte della filiera si è catapultata nell’iperspazio e i mutamenti che hanno coinvolto le metodologie per estrarre un caffè in modo eccellente hanno raggiunto la velocità della luce.
L’estremo opposto però, quello che vede come protagonisti i paesi di produzione, non è affatto da meno. Motivo per cui continuare a parlare oggi come oggi dei “mono-origine” ha sempre meno significato, paragonabile ad ordinare un vino “italiano” piuttosto che “francese” in un’enoteca. Cos’è a fare quindi la differenza in termini di varietà e qualità? Così come per molti altri prodotti agroalimentari la complessità viene determinata dalla varietà botanica, dalla cura in fase di coltivazione e di raccolta nonché dalle lavorazioni post raccolto.
Proprio su queste ultime andremo a soffermarci, ovvero le diverse metodologie e tecniche con cui dalle ciliegie di caffè si possono ricavare i semi, che infine diventano i nostri amati chicchi verdi. Queste lavorazioni si differenziano tra di loro per alcuni aspetti ma ne hanno uno fondamentale in comune: la fermentazione.
COSA SI INTENDE PER FERMENTAZIONE
Il termine venne introdotto dallo scienziato francese Louis Pasteur nel 19° secolo e si riferisce al processo attraverso il quale molti organismi ricavano dallo zucchero l'energia necessaria a sopravvivere. Al contrario della respirazione queste trasformazioni avvengono in totale o parziale assenza di ossigeno e si differenzia in base ai microrganismi coinvolti e del sottoprodotto che ne risulta. Nel caffè lo studio dei processi di fermentazione è qualcosa di molto recente e deriva per lo più dagli studi derivanti da altri prodotti come il vino e la birra; ancora oggi è un termine piuttosto controverso che necessita di essere liberato da troppi equivoci.
Anzitutto la fermentazione nel caffè ebbe inizialmente uno scopo funzionale che derivava prima di tutto da motivi climatici. Intorno alla fine del 1800 infatti, quando la produzione di caffè cominciò ad essere diffusa su larga scala, per molti paesi produttori fu quasi impossibile produrre grandi volumi di caffè dal momento che il clima piovoso proprio durante la fase di raccolta non ne permetteva l'essiccazione in tempi rapidi. Fino a quegli anni il metodo di lavorazione applicato era solo quello a secco o “naturale”, in cui le ciliegie venivano messe ad essiccare immediatamente dopo la raccolta. Divenne necessario un sistema più rapido che non compromettesse la qualità del prodotto. Ecco arrivare quindi le macchine spolpatrici e le prime “vasche di fermentazione” dove il caffè in pergamino veniva privato della mucillagine attraverso immersione in acqua: nacque così il metodo lavato.
Nacque però involontariamente anche l’ambiguità intorno al termine “fermentazione” nel caffè, da quel giorno associato solamente al metodo lavato e alla fermentazione in vasca. Da definizione invece sappiamo bene che questo processo avviene ovunque ci sia una certa quantità di zuccheri, ad una determinata temperatura, in assenza o parziale presenza di ossigeno. Ecco il motivo per cui oggi si parla di fermentazione (che può essere addirittura doppia o tripla) anche per il metodo naturale, perché di fatto è ciò che avviene agli zuccheri che sono contenuti all’interno della polpa della drupa nell’attimo stesso in cui questa viene raccolta dall’albero.
IL BRASILE OGGI, LEADER DELL’INNOVAZIONE
Il Brasile è noto ai più come il paese produttore di caffè naturali o semi-lavati dal carattere aromatico prevalentemente monodimensionale, ovvero ricco di corposità ma privo di aromi complessi e fruttati. Lo sviluppo e lo slancio preso invece nella ricerca di fermentazioni più o meno estreme ha permesso di poter differenziare molto di più creando note aromatiche che fino ad ora sembravano essere prerogativa solo di caffè africani o centroamericani. Ecco che note floreali, acidità più o meno marcate e sentori distinti di frutta tropicale possono essere creati semplicemente controllando le diverse fasi di fermentazione e la successiva essiccazione.
Se continuate ad essere convinti che dal Brasile non si possa avere altro che caffè commerciali e monocorde mi sa che dovrete ricredervi e provare.